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Atti di Sensibilità Planetaria. Agricoltura, produzione, consumo…

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Il primo atto di sensibilità planetaria è stato quello di interrogare il rapporto tra saperi e sapori della vita. Un rapporto che rischia, come tante altre cose della nostra esistenza, di scivolare nel laboratorio di marketing dell’industria agroalimentare contemporanea la quale cerca di surrogare la distruzione metodica, progressiva, scientifica dei sapori della vita presentando i suoi prodotti incommestibili innaffiati col pepe rancido di saperi totalmente inventati o reinventati. Così avviene in tutte le rubriche di moda sui giornali o alla tv che hanno spesso nel titolo i saperi e i sapori. Più che un legame, l’insistenza su saperi e sapori della propaganda dell’industria agroalimentare contemporanea, denuncia una discrasia, un antagonismo profondo, il definitivo compiersi di un divorzio sospettato da tempo tra produzione e cultura. Segnala il definitivo dominio della produzione industriale di massa non solo sui produttori ma anche sui saperi. I saperi di cui cianciano i rotocalchi di tutto il mondo non hanno alcun legame coi sapori. Sono semplicemente saperi addomesticati per sapori insensati, falsi, ingabbiati nella produzione seriale.

Il secondo atto della sensibilità planetaria è stato quello di concepire l’insensatezza della realtà, non più come deficit di raziocinio di menti peregrine ma come deprivazione sensoriale, come difficoltà o impossibilità di esperire nella socialità planetaria la nostra sfera sensitiva. Sensibilità planetaria è dunque atto di resistenza contro la distruzione dei sapori, contro l’annichilimento dei saperi ma anche contro la deprivazione sensoriale che ci porta all’ottundimento della nostra facoltà di udire, di vedere, di tastare, di gustare e di annusare. Tra i non sense dell’umanità contemporanea non vi è soltanto la produzione di un esercito infinito di miopi della vista. La miopia dell’udito, la miopia del palato, la miopia dell’olfatto, la miopia del tatto sono tanto e forse ancor più preoccupanti della miopia della vista. La vita insensata non afferisce solo alla perdita di senso del nostro agire ma anche all’affievolirsi della capacità sensitiva. Il senso dell’agire non può non avere relazione con i sensi tramite i quali si agisce. Si smarrisce il senso perché si perdono i sensi. La deprivazione sensoriale è aspetto cruciale e paradigmatico della perdita di senso dell’agire. La sensibilità planetaria è dunque riaffermazione della centralità sensoriale e nel contempo ricentralizzazione del senso dell’agire.

Il terzo atto della sensibilità planetaria è quello di concepire che l’insensatezza planetaria deriva dai rapporti di produzione, ovvero dalle modalità con le quali gli uomini producono e si relazionano tra di loro. Che tipo di sensorialità sviluppano o inibiscono i rapporti di produzione? In che modo e perché le relazioni sociali sono insensate, ovvero si producono nell’inibizione della sfera sensoriale o nell’indifferenza verso di essa? Questo atto ci pone corpo a corpo, senza alcuna possibilità di mediazione, in una battaglia che diventerà cruciale nei prossimi decenni. Non diventerà cruciale per un pugno di vincitori cui toccherà dividersi il bottino della guerra. Sarà cruciale per le sorti del pianeta e per la possibilità che continui a esistere una sensibilità planetaria. Occorre avere coscienza che siamo ai limiti dell’irreversibilità dell’insensatezza globale.

Il quarto atto della sensibilità planetaria: avere rispetto per la sensibilità della t/Terra. Tutti i processi produttivi che, con o senza l’uso delle macchine, non tengono conto della sensibilità della terra o deliberatamente la distruggono vanno combattuti con la terra, per la Terra. L’attività di produzione agricola è sempre, occorre ricordarlo, un’attività di coproduzione, uno scambio continuo e fecondo della relazione uomo-terra. L’industrializzazione dell’agricoltura ha commesso la barbarie di ridurre la terra a mero mezzo di produzione, a macchina. Nell’agricoltura contadina deindustrializzata che noi invochiamo l’uomo e la terra sono coproduttori di una relazione continua prima ancora che di un prodotto. Il prodotto derivato dal legame di coproduzione mantiene ed esalta la sensibilità di questa relazione.

Il rifiuto di produrre e di consumare l’infelicità del mondo è il quinto atto della sensibilità planetaria.

Le uova se sono prodotte dalla macchina d’infelicità delle galline non possono che essere disgustose. Così i frutti, i cereali, gli ulivi, le viti: se sono prodotti dalla macchina d’infelicità della terra non possono essere che disgustosi. Così le macchine, i vestiti, i pensieri, gli oli, i vini: se sono prodotti dalla macchina d’infelicità degli uomini non possono che creare disgusto.

Nell’assaggio di un vino si annuncia o si denuncia il sistema delle relazioni necessarie per crearlo. La verità del vino non deriva dalla semplice funzione di costringere alla sincerità il parlante. L’effetto di verità del vino consiste soprattutto nella possibilità di cogliere la felicità o l’infelicità delle relazioni produttive, sociali, di scambio con la natura e l’ambiente da cui proviene.

Non è la prima volta che accade. Già Odisseo bloccò la furia antropofaga di Polifemo grazie al vino. Odisseo sconfisse il ciclope con il vino. Odisseo battè il gigante che se ne infischiava delle leggi dell’ospitalità, che disprezzava gli uomini al punto da mangiarli vivi. Tocca riarmarsi del miglior vino come viatico per sconfiggere il ciclope della modernità, il gigantismo industriale che nell’agricoltura, come nella società di tutto il mondo, va fagocitando ambienti, culture, uomini.

Il gigantismo industriale è un effetto dell’economia drogata delle grandi multinazionali.

Il sesto atto della sensibilità planetaria è il rifiuto netto, inderogabile, di ogni localismo politico e identitario. Il locale che si contrappone al globale non è nient’altro che il suo gemello stupido, rancoroso e noioso.

Il mito delle origini, l’attaccamento alle radici sia sul piano culturale sia sul piano politico hanno già prodotto i loro mostri del piagnisteo nostalgico e dell’odio nazionalistico; la loro sterilità sul piano culturale e artistico si è trasformata nel più grande strumento di rancore e nella più stolta macchina di proliferazione delle guerre e dei razzismi.

Basta guardarsi sotto i piedi, l’uomo non ha radici e se fosse identico a quello da cui origina avrebbe ben poco da gloriarsene. Le uniche radici umane che ci interessano sono quelle dell’uomo sradicato che cerca il contatto continuo con l’aria per purificarsi da tutte le ignominie del particolarismo, del familismo, del tribalismo, del culturalismo differenzialista, delle comunità terribili e di ogni posticcia identità. L’identità è lontana dall’umanità ed è opposta all’uguaglianza. La sensibilità planetaria rifiuta ogni localismo e concorre a costruire e a diffondere, contro la globalizzazione, prassi e idee internazionali, cosmopolitiche, apolidi che hanno come fulcro, nella modificazione dei rapporti di produzione, la doppia centralità della relazione con l’ambiente e con le società. La sensibilità planetaria ama i particolari perché rifiuta ogni particolarismo, ricerca gli originali perché non crede alle origini, valorizza il locale perché sente puzza di muffa in ogni localismo. La sensibilità planetaria non guarda con occhio nostalgico al passato, né è acquisita per sempre; è una sensibilità in divenire.

Gli OGM: crimini contro l’umanità, crimini contro la t/Terra

Gli OGM sono i mostri dell’agricoltura: a parte le rilevantissime questioni riguardanti gli esiti della modificazione genetica delle piante su di esse e sugli uomini, gli OGM concentrano l’industria agricola in poche mani, impoveriscono la terra, distruggono la contadinità, eliminano o omogeinizzano il gusto. Gli OGM costituiscono oggi la più grande minaccia alla sensibilità planetaria. Contro di essi non c’è tempo da perdere né alcuna possibilità di mediazione. La ricerca, la sperimentazione, le legislazioni permissive, l’uso degli OGM costituiscono un crimine contro la terra e contro l’umanità. Occorre fare di tutto perché ciò non accada. L’obiettivo minimo della sensibilità planetaria è distruggere le legislazioni a favore degli OGM, distruggere le coltivazioni OGM, distruggere i prodotti OGM in tutta la loro filiera, dalla ricerca alla vendita. Uno dei limiti del movimento antiglobalizzazione è stato la sua sovraesposizione politica, la sua pretesa di modificare le regole del potere politico attraverso la rappresentanza politica. Da questa ossessione per la rappresentanza deriva il suo eccessivo carico simbolico e la sua forte spettacolarizzazione

Il sesto atto della sensibilità planetaria rifiuta la contrapposizione speculare tra globale e locale, ma cerca una via di fuga sia dal localismo sia dalla gobalizzazione. La sensibilità planetaria non propugna un’altra globalizzazione, ma cerca una via di fuga sia dal localismo sia dalla globalizzazione. Il localismo è nemico della sensibilità planetaria. La globalizzazione la distrugge.

Una rivoluzione vera non fa mai appello al potere, si fonda al contrario sulle trasformazioni delle modalità di esistere, degli stili di vita, delle forme dell’agire. Una rivoluzione cambia lo sguardo sul mondo, agisce sui comportamenti minuti, quotidiani, fonda nuove modalità di relazione tra gli uomini, le donne e ogni forma di vita del pianeta. Una rivoluzione vera distrugge gli ordini consolidati e rifiuta le gerarchie tra città e campagna.

La contadinità planetaria è il settimo atto della nuova sensibilità: il miglior modo per aver cura del pianeta è prendersi cura, personalmente e collettivamente, di ogni sua forma di vita e di ogni relazione tra organico e inorganico. È questo anche il miglior principio produttivo. La produzione di merci anche in agricoltura è l’elemento più enfatizzato del processo produttivo. Ma la merce è l’elemento simbolico finale di un processo che va seguito dalla sorgente produttiva. La produzione sorgente indica lo stato dell’aria, della terra, del seme, della pianta. Tutto ciò deve essere ritenuto materia prima; l’equilibrio e la qualità della produzione discendono dall’equilibrio e dalla qualità della materia prima. La materia seconda della produzione sorgente riguarda il rapporto tra i produttori e la materia prima.

La sensibilità planetaria non può essere realizzata per decreto né può arricchirsi al riparo di qualche legge. Le leggi prevedono che qualcuno le imponga ai sottoposti. È l’ottavo atto: la sensibilità planetaria è facoltà di ciascuno, ma non si può imporre a nessuno.

Non esistono precetti validi per tutti o imponibili per legge. Non condividiamo il fondamentalismo dei disciplinari produttivi. È vero che sono stati un argine all’avvelenamento della terra e hanno consentito la diffusione normativa dei saperi, ma a volte costituiscono un puro conformismo o addirittura consentono un odioso raggiro. La corsa alla produzione biologica per esempio va divenendo una modalità di raggiro degli stessi protocolli e un modo per aumentare a dismisura i prezzi. La certificazione biologica non mette al riparo da produzioni di scarsa qualità e da pessime relazioni sociali.

Il nono atto della sensibilità planetaria afferma il principio di responsabilità e l’autocertificazione. Nessuna ignominia può essere tollerata solo perché si ripara all’ombra delle leggi. La legge non sostituisce, né copre il deficit di responsabilità con cui ciascuno e tutti ci rapportiamo al mondo sia come produttori sia come consumatori.

La critica, lo sciopero e il sabotaggio sono armi necessarie nei confronti della grande distribuzione, senza dimenticare che è stolto rivendicare in modo pedissequo la bellezza della piccola distribuzione. I danni e i raggiri della grande distribuzione si trovano a volte ingigantiti anche nella piccola. Comunque sia, la critica, lo sciopero e il sabotaggio sono necessari, ma non sufficienti. Urge il decimo atto della sensibilità planetaria: produrre idee semplici, efficaci, immediatamente applicabili e universali che siano in grado nel futuro presente di trasformare i rapporti di produzione. L’idea – che è anche l’undicesimo atto della sensibilità planetaria – della massima tracciabilità dei prodotti e dei prezzi risponde a questi requisiti.

Consumare non è altro dal produrre. È il dodicesimo, provvisoriamente ultimo, atto della sensibilità planetaria.Le scelte e le modalità del consumo, in particolare quelle che intendiamo concorrere a creare, costituiscono un circuito di coproduzione che le legano indissolubilmente alla produzione. 

Altri atti seguiranno o sono ravvisabili in questo come in tanti altri libri. La sensibilità planetaria si esprime nell’atto di parola, non disdegna la scrittura, ma  forgia i suoi principi  nella nuova alleanza che le società, gli uomini e le donne cominciano a stringere con la T/terra. Siamo ospiti della terra: continuare a ucciderla non è che l’ultimo ciclopico tentativo di suicidio della specie.

Abstract da  t/Terra e libertà/criticalwine. Sensibilità planetaria, agricoltura contadina, rivoluzione dei consumi, Derive Approdi, Roma 2004, a cura di Pino Tripodi e Marc Tibaldi

Agricoltura bene comune sensibilità planetarie e agricoltura contadina

Agricoltura bene comunevuole costruire una difesa “pratica” della vita materiale. Contro le nocività politiche, culturali, sociali che svalutano l'esperienza sensoriale, le capacità dialettiche del linguaggio, la coscienza del vissuto individuale e dei processi storici collettivi. Riruralizzare il mondo. A partire da una nuova sensibilità che percepisce la t/Terra -intera- come casa propria. Contro l'attaccamento conservatore e l'invenzione localista delle radici e contro il binomio razzista sangue-suolo di infausta memoria, noi siamo – lo diciamo con un ossimoro concettuale- per un'agricoltura nomade. E per un consumo critico. Per un rapporto nomade con la t/Terra: sentirsi a casa propria in ogni luogo della Terra, sopra ogni zolla di terra. Un'idea che viene da lontano. Forse qualcuno ricorda ancora quel canto proletario dell'800: “nostra patria è il mondo intero, nostra idea la libertà”. Per un futuro di gioia, creatività, intelligenza. Le politiche planetarie di dominio passano dal controllo dell'agricoltura. La terra, l'ambiente, le multinazionali, l'acqua, il cibo, i brevetti, gli ogm, il lavoro, l'economia, lo sviluppo sostenibile: è venuto il momento per una riflessione seria. Il movimento dei movimenti – ma diremmo ogni essere pensante che abbia il desiderio di un futuro di gioia, di creatività, di intelligenza – deve affrontare al più presto queste tematiche, in modo organico e complessivo, se vuole veramente saper proporre un altro mondo possibile.
– un'agricoltura dal basso, per una riflessione sull'agricoltura contadina, per pensare le relazioni tra movimento dei movimenti, terra e agricoltura.
– organizzare il rifiuto del modello neoliberista che vuole l’agricoltura industriale e monocolturale delle multinazionali e della UE da una parte e unìelitaria produzione dei cosiddetti prodotti tipici dall’altra, quali
facce della stessa medaglia.
– pensare a un nuovo rapporto con la terra/Terra che lasci spazio a produzioni, consumi, piaceri più sobriamente felici.
– portare alla conoscenza dei consumatori una serie di buoni vignaioli/contadini, proporre un’offerta straordinaria di vini e comunicazioni che diano la possibilità durante l’evento di acquisto diretto (con consegna immediata dei molti vini pregiati) a prezzi ragionevoli, accompagnati da informazioni e incontri agricoltore/consumatore.
– disegnare il circuito virtuoso tra qualità della produzione, qualità del prodotto e qualità delle relazioni sociali.
– il consumo critico, contro il consumo produttivo.
– “condomini” della qualità e gruppi d'acquisto autogestiti e a rete.
– un catalogo dei produttori, basato su rintracciabilità, origine, qualità e sul principio della responsabilità e dell'autocertificazione.
– fare mercato come incontro di coproduzione.

– importanza del paesaggio equilibrato (agricolo, rurale, urbano… del terzo paesaggio: con l’espressione “Terzo paesaggio”, Gilles Clément indica tutti i “luoghi abbandonati dall’uomo”: i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi, quasi invisibili: le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie; le erbacce al centro di un’aiuola spartitraffico… Sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall’assenza di ogni attività umana, ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica): la distruzione della sensibilità passa anche attraverso la distruzione del territorio.

– costruire in maniera cooperativa forme e strumenti di comunanza, condurre al riconoscimento della cosa comune, dall'aria all'acqua al cibo fino alla produzione informatizzata e alle reti.