Servizi pubblici locali: la sentenza della Corte Costituzionale n.199/2012 del 20 Luglio 2012
La sentenza delle Consulta n.199/2012 si colloca in un contesto di mutabilità (ed instabilità) normativa, con effetti da rendere del tutto improbi i “percorsi” degli enti locali nella gestione dei servizi pubblici.
A seguito del DL 13 agosto 2011, n. 138 (poi, convertito in L. 14 settembre 2011, n. 148), con riguardo al suo art. 4, era stato possibile affermare come fosse stata “ri-esumata” la normativa dell’art. 23.bis DL 25 giugno 2008 n. 122 e succ. (plurime) modif. in materia di forme di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, che era stata oggetto di abrogazione da parte dei 2 referendum popolari celebratisi il 12 giugno 2011 (in particolare, per effetto del Quesito n. 1).
Non era possibile infatti considerare un reale adeguamento all’esito referendario la riproposizione della pressoché medesima normativa (oltretutto, con ulteriori restrizioni nelle forme e modi di affidamento) per il solo fatto che ne venisse escluso il servizio idrico, evidentemente sul presupposto secondo cui, avendo i promotori dei referendum popolari posto fortemente l’accento sul tema “acqua“, la sola esclusione del servizio idrico costituisse un adeguamento all’esito referendario. Infatti, il Quesito n. 1 non aveva a proprio oggetto il solo servizio pubblico a rilevanza economica afferente al servizio idrico, quanto l’insieme di tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica.
L’art. 4 DL 13 agosto 2011 n. 138 (e succ. modif.) è stato fatto oggetto di una pluralità di ricorsi da parte di un certo numero di regioni che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, ricorsi riuniti e decisi dalla Corte Costituzionale con unica sentenza, la n. 199/2012 del 17-20 luglio 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 4 DL 13 agosto 2011 n. 138 e succ. modif.
Oltretutto, non può dimenticarsi come ad esso siano poi seguite diverse disposizioni, più o meno pertinenti, nei decreti “Salva Italia”, “Cresci Italia”, “Liberalizzazioni”, ecc., con la specificazione per cui in quest’ultimo (art. 25 DL 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modifiche, nella L. 24 marzo 2012, n. 34) si era introdotto l’art. 3-bis al DL 13 agosto 2011, n. 138 e succ. modif., apportando ulteriori modifiche all’art. 4 DL 13 agosto 2011, n. 138, le quali vengono, a propria volta, travolte dalla pronuncia d’illegittimità costituzionale.
In altre sedi, era stato argomentato come il Titolo V della Parte 1^ del T.U.E.L. , cioè la regolazione delle forme dei servizi pubblici locali, abbia costituito la parte del T.U.E.L. che, nel tempo, è stata maggiormente interessata a modificazioni, oltretutto con “velocità” di modificazione particolarmente elevata.
La sentenza delle Corte Costituzionale n. 199/2012 del 20 luglio 2012, viene così a collocarsi in questo contesto di mutabilità (ed instabilità) normativa, con effetti da rendere del tutto improbi i “percorsi” degli EE.LL., titolari dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, necessari per una definizione di quelle che possano essere le forme di gestione.
Per altro, dalla sentenza n. 199/2012 del 20 luglio 2012 della Corte Costituzionale emerge anche un ulteriore risvolto, dal momento che, tra le varie argomentazioni cui hanno fatto ricorso le regioni che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale, vi era anche quella per la quale l’attribuzione (ma vorremmo parlare di “riconoscimento”) agli EE. LL. di funzioni di regolazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica avrebbe costituito una compressione della competenza legislativa regionale residuale (art. 117, comma 4 Cost.), impostazione a cui, nella sostanza, la Corte Costituzionale sembra avere aderito.
Un tale assunto, da parte delle regioni, appare esplicitare un retro pensiero, cioè quello per cui la regione sia (ancora) un ente sovra-ordinato, in qualche modo anche gerarchicamente, rispetto agli EE. LL., cioè come una sorta di obliterazione non solo della pari ordinazione tra i diversi livelli di governo di cui all’art. 114 Cost., ma come se le stesse modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione (L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), non avesse, intenzionalmente, abrogato il pre-vigente art. 129 Cost. (per il quale le province e i comuni erano, anche, circoscrizioni di decentramento statale e regionale).
Il risultato sembra andare nella direzione per cui i soggetti titolari di un servizio cessino di esserlo, trasformandosi in soggetti subordinati a determinazioni altrui (attuazione concreta del principio di essere “padroni a casa propria”, sottraendo al padrone di casa il ruolo che gli sarebbe fisiologicamente proprio), ma anche il costruire, attraverso un processo di traslazione, competenze attorno a livelli di governo che tendono sempre di più a divenire autoreferenziali. Ovviamente, considerandosi “abrogato” l’art. 5 Cost., dato che esso comprimerebbe la potestà legislativa regionale residuale ….!