Sulla spending review non si tratta. A proposito dello sciopero farsa del 28 settembre.
0
0
Eliminare gli sprechi per difendere il welfareè lo slogan con cui Cgil (e Uil) della Funzione Pubblica lanciano lo sciopero del 28 Settembre. Non saremmo certo noi a dire ai lavoratori e alle lavoratrici di non scioperare (del resto noi siamo stati sempre in piazza e torneremo a farlo passando attraverso una manifestazione nazionale contro il Governo a fine Ottobre) ma questo sciopero è alquanto sospetto e mai come oggi le lavoratrici e i lavoratori pubblici sono stati tanto sfiduciati e rassegnati, delusi da sindacati proni al Governo e ai dettami della banca europea.
- Quello che serve è lo sciopero generale contro il Governo che da mesi staattaccando i salari e le pensioni, smantella i servizi e il lavoro pubblico, cala le brache di fronte alla Fiat e al modello Marchionne che incassa i soldi degli ammortizzatori sociali per poi portare le fabbriche in altri paesi. Il Governo ha avallato la scelta di Cisl, Uil e Ugl a sostegno di Fabbrica Italia, nonostante fosse a tutti/e chiaro che non ci sarebbero stati investimenti e rilanci produttivi ma solo la espulsione dalle fabbriche dei sindacati/lavoratori/delegati scomodi e combattivi.
- La politica dei sindacati confederali non è di opposizione alla spending review, tanto è vero che lo scorso 4 Maggio hanno sottoscritto, al pari degli altri sindacati, una intesa con il Governo che ha dato il via libera ai tagli e allo smantellamento della Pubblica Amministrazione.
- Non è sostenibile la politica dei tagli “dove servono”.I sindacati sposano la lineadell’Anci che parla di riduzione della spesa complessiva del personale senza abbattere invece le spese superflue come quelle legate alle politica, alle autoblu, alla rappresentanza istituzionali, alle consulenze esterne e ai rapporti cosiddetti fiduciari.
- Non può esistere alcun baratto tra la difesa del salario e del potere di acquisto e il welfare. Da anni i salari sono fermi e l’impoverimento dei lavoratori pubblici e privati è tra le principali cause della crisi (insieme all’aumento delle tariffe, alle spese, un tempo semigratuite come quelle per la salute e l’istruzione, che incidono non poco sui bilanci familiari).
- Far ripartire le economie cittadine non significa avallare scelte delle amministrazioni locali che favoriscono processi di cementificazione del territorio e investimenti che portano solo o quasi benefici alle imprese.
- Quando si parla di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione si dovrebbe dire che la politica del Governo mira allo smantellamento dei servizi pubblici e alla loro privatizzazione, all’attacco frontale ai diritti dei lavoratori (salari, contratti, pensioni ecc.) in linea per altro con quei dettami della Banca Europea che Monti applica alla lettera e che hanno provocato la distruzione dell’economia greca mandando sul lastrico i lavoratori e le lavoratrici greci, irlandesi, portoghesi e ora spagnoli.
- In questi anni sono aumentati i consigli di amministrazione di tante società nate o da processi di privatizzazione o dalle società in house. Questi processi andrebbero messi in discussione e contrastati.
- Il patto di stabilitàinterno ha colpito soprattutto le spese sociali degli enti locali perché l’intento della riduzione di spesa è anche la trasformazione dei comuni e delle Asl in aziende non erogatrici di servizi ma in enti profit.
- La spending review cancellerà migliaia di posti di lavoro già nei prossimi mesi. La linea della Cgil e degli altri sindacati è quella del dialogo con un Governo che andrebbe invece contrastato, basterebbe ricordare il loro silenzio/assenso sull’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione.
Servono altre politiche e altre scelte:
- Difesa del potere di acquisto dei salari e delle pensioni ripristinando la vecchia riforma previdenziale consentendo a migliaia di lavoratrici e lavoratori di andare in pensione con le vecchie regole e senza quel sistema di calcolo retributivo che farebbe perdere almeno un paio di centinaia di euro al mese;
- Rinnovare da subito i contratti nazionali con aumenti salariali veri;
- Reinternalizzare i servizi pubblici esternalizzati;
- Far pagare il debito a chi in questi anni ha speculato e guadagnato sulla nostra pelle;
- Far pagare le tasse alle grandi imprese e gruppi finanziari e a chi le ha evase per decenni;
- Ridurre il numero dei dirigenti;
- Abbattere drasticamente le spese della politica perché il servizio pubblico sia al servizio dei cittadini e non dei programmi di mandato dei Sindaci e funzionali alla rielezione dei manager nelle amministrazioni pubbliche e nelle Asl;
- Non sottoscrivere più accordi nazionali e decentrati al ribasso mentre aumentano le spese per le consulenze, per i dirigenti e la politica.