Le alternative del dopo voto
Dopo il non esito del voto di domenica e lunedì, si pongono diverse alternative cui bisognerebbe rispondere in modo netto.
La prima. I mitici e famigerati mercati non hanno gradito. La Borsa di Milano chiude con meno quattro, ma anche le altre capitali europee viaggiano con il segno meno. E’ tutta l’Europa che traballa, e non potrebbe essere diverso date le premesse.
Contrariamente alleit motivdi Bersani, noi non siamo la Grecia quanto a impatto sullo scenario europeo. Lo spread rimbalza a 340, 50 punti in più, pari ad un aggravio di costo per lo Stato di circa 1,5 mld su base annua. Il quadro macroeconomico non è buono, ma pensare che esso sia solo il frutto della instabilità politica italiana significa vivere in un mondo virtuale e non avere mai capito le dinamiche di fondo di questa crisi economica epocale.
Quindi o si dà retta ai mercati o si dà retta alla esigenza di democrazia. Questa è la prima scelta da fare. Se si dovesse scegliere la prima strada, si andrebbe incontro a soluzioni che tutte più o meno portano a grandi coalizioni e alla rimessa in campo della destra di Berlusconi, visto che i numeri al Senato mandano in fumo l’ipotesi su cui il centrosinistra si era fin qui basato in caso di insufficienza – al di là delle punture di spillo in campagna elettorale – ovvero l’alleanza con Monti. Nello stesso tempo appare del tutto improbabile un’alleanza organica con i grillini, sia perché questi non la vogliono, sia perché avendo il centrosinistra, Sel per prima, basata buona parte della campagna elettorale contro il pericolo del populismo apparirebbe una conversione troppo repentina e strumentale. Né siamo ai tempi di Andreotti in cui si poteva concepire un “governo allo sbando”, ovvero un Esecutivo che trova la maggioranza in Parlamento sui singoli provvedimenti.
Se si dà retta alla esigenza di democrazia, si apre una seconda alternativa. Il presidente Napolitano non può sciogliere le camere perché a fine mandato. Lo aveva potuto fare prima, con un breve anticipo, perché il suo semestre “bianco” coincideva con la scadenza naturale della legislatura. In ogni caso bisogna passare attraverso la elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, nonché, ovviamente, dall’elezione dei Presidenti delle Camere. A meno che Napolitano non voglia dimettersi prima, ma non mi pare sia nelle sue corde. E’ quindi naturale che un incarico di governo venga dato. Presumibilmente a Bersani, come capo della coalizione “vincente”.
Se si mette al primo posto la tenuta del nostro sistema democratico, anzi la sua rinascita – perché di questo si tratta – non si può che pensare a un Esecutivo che abbia come unico compito garantire che il Parlamento giunga al più presto ad una nuova legge elettorale per passare al voto. Successivamente sarà il caso di pensare almeno a una riforma costituzionale che opti per il monocameralismo, poiché il bicameralismo perfetto ha dato pessime prove di sé e visto anche che, per colpa non solo del Porcellum, è già la terza volta che le discordanze tra esiti elettorali tra Camera e Senato mettono in discussione il senso del voto complessivo. Il che porterebbe anche a una riduzione del numero dei parlamentari, obiettivo da non trascurare, visto che la loro quantità non ha dato alcuna prova di buon funzionamento delle istituzioni e di maggiore avvedutezza legislativa.
Ma la scelta della legge elettorale non è innocente. E questa è la terza alternativa. Il non esito delle urne ci consegna un quadro nel quale tende a diventare prevalente un atteggiamento antisistemicoda parte dell’elettorato. Se sommiamo l’astensione sensibilmente cresciuta non per colpa del tempo atmosferico (infatti per le regionali è diverso) con i voti di Grillo, cui possiamo anche aggiungere buona parte dei pochi voti giunti a Rivoluzione Civile (ma anche molte preferenze per Sel hanno in realtà queste caratteristiche) constatiamo un’insorgenza contro il quadro e il sistema politico-istituzionale nel suo insieme. Puntare sulla governabilità a scapito della rappresentanza sarebbe il suicidio definitivo, significherebbe stendere un tappeto rosso all’ingresso in scena di un nuovo uomo forte (e purtroppo non sarebbe un De Gaulle, ma un ibrido tra figure impresentabili come quelle che già abbiamo conosciuto). La nuova legge elettorale non può quindi che essere essenzialmente proporzionale, per restituire ai cittadini innanzitutto il diritto a vedere rappresentate nelle istituzioni le proprie opinioni politiche.
Infine vi è una quarta alternativa, che ci riguarda direttamente. Per la seconda volta nel Parlamento non vi è alcuna forza di sinistra presente come tale. Al contrario di altri paesi d’Europa ove le forze di sinistra d’alternativa stanno riprendendo fiato e possono, come in Grecia, aspirare ad essere considerate il primo partito. L’Italia appare dunque un’anomalia negativa. Il caso italiano è totalmente rovesciato. Nel momento in cui persino Anthony Giddens scarica il blairismo e dichiara che non è sopprimibile il clivage tra destra e sinistra, c’è chi, anche in Rivoluzione Civile, dichiara morta la distinzione fra destra e sinistra. Eppure chi fa un minimo di attività sociale la gente di sinistra la incontra ogni giorno e ovunque. Vi è una sinistra diffusa che ogni volta che è chiamata a scegliere su politiche concrete – come accade nei referendum o nelle grandi lotte di massa su obiettivi economici-sociali, cioè civili, come la questione della Tav o degli assetti urbani – si manifesta con vivacità ed efficacia.
Il senso della discriminate fra destra e sinistra è ben presente a livello popolare. Ciò che viene completamente revocato in dubbio è la presunta rappresentanza attuale della sinistra. L’esito sia di Rivoluzione Civile che, per altri versi, di Sel, che ottiene molti parlamentari in virtù del Porcellum, ma vede abbassarsi ancora la già scarsa percentuale di voti, non può trovare scusanti, come nelle dichiarazioni dei leader nella serata di lunedì, nelle difficoltà e nell’improvvisazione della campagna elettorale, nella cattiveria altrui o nel ricatto del voto utile. E’ necessario che le vecchie forme organizzative della sinistra radicale si sciolgano in una comune ricerca ideale, programmatica e organizzativa che si ponga il compito di rappresentare effettivamente il bisogno di sinistra che nel paese è tutt’ora vivo. Quell’atto di realismo e umiltà che è mancato ancora una volta nella formazione delle liste, deve imporsi ora di fronte a un risultato inequivocabile e impietoso.
di Alfonso Gianni