La pelle del giaguaro
È finita che poi il giaguaro non l’hanno smacchiato e neppure il grillo parlante è stato schiacciato contro il muro. A Bersani le metafore riescono male e comunque non portano fortuna. L’abuso che lui e i suoi competitori ne hanno fatto nell’orrenda campagna elettorale era nefasto presagio della distrazione rispetto alla realtà che ci sta portando al disastro tutti – anche chi non li ha votati per residua razionalità o istintivo ribrezzo. Dunque, è finita, secondo previsione, con un verdetto di ingovernabilità, certo dovuto al Porcellum, ma che rispecchia la vischiosità di una società invecchiata e disperata, che continua a credere alla favole o si attarda nelle giaculatorie dell’usato sicuro e del voto “utile” senza affrontare le sfide poste dalla crisi economica e dal fallimento di un certo welfare e della logica rappresentativa che ne era l’ombra democratica.
Si è conclusa con scarti minimi fra i due maggiori contendenti, entrambi in regresso rispetto al 2008, e vistose incongruenze fra voto popolare e distribuzione dei seggi, su cui fioriranno contestazioni e recriminazioni.
Il flusso disordinato e contraddittorio di exit polls, proiezioni e dati reali è stato nel pomeriggio di ieri un preannuncio e magari un’allegoria del clima di rissa e ingovernabilità che ci attende nelle prossime settimane, e che la speculazione finanziaria non mancherà di sottolineare in modo drammatico tale da toccarci nella vita quotidiana, sulla nostra pelle. I due grandi poli di centro-sinistra e di centro-destra hanno cercato di domare l’ingombrante minaccia di un terzo polo centrista e sono riusciti a contenerlo, malgrado il fatto imbarazzante di averlo sostenuto per un anno nella persona del suo leader salvifico (ma non carismatico) Monti, e non si sono accorti che a loro spese spuntava un quarto polo, in pratica loro quasi equivalente per peso, che ha sparigliato tutti i calcoli e la distribuzione dei seggi.
Il bipolarismo è morto per eccesso di bipolarismo e per l’ottusa fedeltà a un’unica agenda euro-commissariata, da cui Berlusconi, con impareggiabile opportunismo, è riuscito a districarsi prima di Bersani, convinto di non aver nulla da perdere con mirabolanti promesse che dovevano servire soltanto a mantenerlo in gioco. Solo che il gioco non sarebbe stato fra i tre protagonisti della passata e magari futura grande coalizione pseudo-tecnica e pseudo-europea, ma con l’enigmatica ditta Grillo-Casaleggio. Il Commendatore, «mi invitaste, or sono venuto», è arrivato a cena e ha stretto con dita gelide la mano dei gaglioffi che prima lo irridevano. Speriamo che li trascini all’inferno, come nel finale di Mozart-Da Ponte.
Il più beffato è stato Bersani, mentre Berlusconi è rimasto a galla dopo aver temuto di annegare; quanto a Monti, Monti chi, il padrone del cucciolo Empy? Nel campo Pd-Sel Grillo ha raccolto a piene mani (Sicilia, Marche, nella Puglia vendoliana), molto più in proporzione che fra i leghisti in Veneto e al Pdl in Friuli. Il dimesso immaginario del riformismo, colonia del neoliberismo, è rimasto strozzato fra quello televisivo del pagliaccio di Arcore e quello web 2.0 del comico genovese.
Perché è finita così? Come ha fatto Bersani, vincitore sicuro se si fosse votato nel novembre 2011 invece di sospendere la democrazia, su impulso di Napolitano, vincitore con largo margine ancora alle prime avvisaglie di collasso dell’innaturale maggioranza che sosteneva il governo tecnico, come ha fatto a incappare in un declino così rovinoso e a lasciare lo spazio della protesta contro l’austerità a Berlusconi e a Grillo? Domanda retorica, che già contiene le risposte. Nell’ordine: la paura di vincere, l’illusione che i voti piovano su chi si sposta al centro e taglia le ali, la subordinazione al pensiero unico finanz-liberista e alla sua gestione ordoliberale tedesca (ah, quella visita a Schäuble!), la chiusura ostinata ai movimenti e la diffidenza verso la Fiom, da ultimo la sottovalutazione del Movimento 5 stelle e la cocciuta difesa delle più impopolari misure fiscali di Monti, senza neppure abbozzare un timido e forse tardivo keynesismo.
Campo libero è stato così lasciato a ogni demagogia – beninteso, non a posizioni di sinistra, che anzi l’ondata grillina rischia di sommergere anche lo spazio dei movimenti, fra cui la sindrome di Stoccolma già fa strage. Non è detto che M5S acquisisca la fisionomia e la stabilità di un partito, seppure di tipo nuovo, ma il suo successo porta a termine la storia di quell’accrocco mezzo socialdemocratico e mezzo cattolico-sociale che è il Pd, che stavolta non se la caverà con un ennesimo cambiamento di nome e albero di riferimento. E questo mettiamolo all’attivo di Grillo, anche se non all’attivo dell’Italia, perché fa un vuoto sacrosanto ma non costruisce nulla in quell’apertura.
Come se ne uscirà? Sia la grande coalizione da Bersani a Berlusconi sia nuove elezioni con il Porcellum non farebbero altro che evitare a Grillo scelte politiche e aumentare l’indignazione e quindi regalare altri voti a M5S. Da questa crisi – che comporterà gravi ingerenze europee e rischi per la tenuta dell’euro – non si evade con manovre parlamentari. Si delineano scenari inediti, che i partiti attuali e anche il duo Grillo-Casaleggio non sembrano in grado di controllare. Ma non diamoci troppo presto alle profezie.
Vogliamo spendere una frase finale perRivoluzione civile? Si è detto, forse con timbro troppo sommesso, che era assurdo configurare una sinistra radicale, estranea al patto scellerato con Monti e Merkel, una Syriza italiana con la riesumazione di relitti storici già logorati dalle precedenti sconfitte e invasivamente presenti nelle persone dei loro segretari. Che altrettanto assurdo era mettere alla sua testa un magistrato, non esente da tratti giustizialisti e latore di strane proposte in materia di diritto penale. Non se n’è tenuto conto e adesso i coinvolti facciano una tardiva autocritica. Della salvezza della loro anima, però, molto non ci cale, per riusare un’espressione congruamente giurassica.
Augusto Illuminati