INPS dopo la sentenza del Giudice non versa le somme dovute
Con sentenza RG N°1203/18 che risale a dicembre 2019, il giudice del lavoro di Lecce ha condannato l’Inps di al pagamento delle spese, con arretrati e interessi, per il mio nucleo familiare, in particolare per mio nipote, infatti la Asl Lecce, dove lavoro da 34 anni, e la stessa Inps nel 2014 non vollero riconoscermi e dunque mi negarono la possibilità di vedere riconosciuto quell’emolumento economico, sacrosanto per le famiglie.
Nonostante questa ottima sentenza in mio favore, ripeto che risale a dicembre 2019, l’INPS continua imperterrita e si ostina a non voler pagare, dopo 6 mesi di attesa.
Qualche giorno fa dall’ufficio legale dell’INPS di Lecce, dopo vari miei solleciti, vengo contattato: mi comunicavano che sarebbe stata la Asl Lecce a pagarmi l’assegno e gli arretrati.
Dopo qualche giorno la Asl stessa mi ricontatta e mi dice, che essendo la sentenza contro l’Inps dev’essere l’Inps a pagare.
Ad oggi l’Inps continua a fare orecchie da mercante.
Mi hanno ricontattato ieri, 3 giugno 2020, sempre l’ufficio legale, e mi dicono, tramite e-mail, che passeranno la mia pratica all’ufficio competente perché lavorino la pratica. Dunque tutto in alto mare.
Lavorare la pratica dopo 6 mesi di attesa dalla sentenza del giudice del lavoro?
Al danno di avermi fatto attendere quasi 6 anni, si aggiunge la beffa perché fanno finta ancora fino ad oggi, un ente dello stato, di non sapere nulla, e cercano di prendere altro tempo.
Se ne fregano delle sentenze dei giudici, approfittano dell’emergenza covid-19 e ritardano di proposito di restituire il dovuto ai lavoratori e alle famiglie in difficoltà, così come sta accadendo ai cassaintegrati ed ai disoccupati.
La democrazia in questo paese, così facendo, è sospesa. c’è una grave emergenza giustizia, e nessuno si muove. pensate che oggi ci sono parlamentari della Repubblica, miracolati, che stanno celebrando la giornata della bicicletta. mentre ci sono famiglie che attendono che l’Inps paghi emolumenti economici sacrosanti, per mangiare.
Maurizio Maccagnano, Nardò