Lecce: Il giudice ordina il reintegro immediato per un lavoratore licenziato da Gial Plast
Il Tribunale di Lecce nella persona del Magistrato la Dottoressa Maria Gustapane ha emesso la sentenza al primo dei 30 lavoratori licenziati da Gial Plast.
La sentenza è favorevole al lavoratore Caiffa Sebastiano del cantiere di Gallipoli intimando alla Gial Plast il reintegro sul posto di lavoro e il pagamento delle mensilità perse da maggio ad adesso.
Le motivazioni del Giudice la Dottoressa Maria Gustapane sono le considerazioni espresse dal sindacato Cobas fin dal primo giorno di questa triste vicenda, principalmente dopo la sospensione della misura di interdittiva antimafia emanata dalla Prefettura di Lecce da parte del Tribunale Lecce.
La Dottoressa Maria Gustapane ha applicato i commi 4 e 7 dell’art.18 della legge 300/70 come modificato dall’art.1 comma 42 della legge 92/2012.
Infatti il comma 4 dell’art.18 della legge 300/70 dispone: “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.”
Il comma 7 dell’art.18 della legge 300/70 dispone: “Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.
Vista la situazione attuale, in cui gli organi societari di Gial Plast S.r.l. sono stati riabilitati dal Tribunale di Lecce a svolgere l’ordinaria e straordinaria amministrazione, viene meno il giustificato motivo oggettivo a cui il datore di lavoro ha fatto ricorso per attuare prima le sospensioni cautelative e successivamente i licenziamenti.
Il sindacato Cobas, ha chiesto da sempre la reintegra sul proprio posto di lavoro dei lavoratori illegittimamente licenziati. In questa vicenda gli unici ad aver pagato il prezzo più alto sono i 30 lavoratori e le rispettive famiglie che oltre a rimetterci il posto di lavoro hanno rimesso la dignità personale e familiare.
Il posto di lavoro rappresentava l’unica fonte di sostentamento e di sicurezza economica per le famiglie dei lavoratori licenziati da Gial Plast.
Questi lavoratori prestavano il proprio servizio nel settore ambientale da diversi anni in quanto provenivano da passaggi tra ditte appaltanti ai sensi dell’art. 6 del C.C.N.L. di categoria.
Come spesso avviene in Italia la Magistratura deve riequilibrare il sistema poiché delle disposizioni di legge, applicate regolarmente, producono l’effetto contrario di quello sperato dal legislatore.
Infatti l’interdittiva antimafia che colpisce gli amministratori delle società nel nostro caso ha prodotto altri effetti, cioè il datore di lavoro ha licenziato i lavoratori che non avevano niente a che fare con l’interdittiva antimafia.
Attualmente ancor di più si avvalora la tesi che i licenziamenti debbano essere revocati con il ritorno al lavoro immediato, già prima con l’interdittiva antimafia la Prefettura di Lecce non aveva detto di licenziare il personale con reati penali adesso con la sospensione del Tribunale di Lecce si appalesa ancor di più la tesi che i licenziamenti rimangono illegittimi.
Nella Repubblica Italiana tutti i cittadini hanno diritto a lavorare per il sostentamento proprio e della propria famiglia, infatti la Costituzione prevede all’art.1 che l’Italia è fondata sul lavoro che rappresenta il principio cardine su cui si è costituito l’ordine democratico e che subordina l’attività lavorativa al rispetto delle leggi della civile convivenza, del codice civile e dei contratti collettivi nazionali.
Dal combinato disposto tra l’art.1, art.3 e art. 27 comma 3 della Costituzione e altre disposizioni di legge si evince che la Repubblica italiana deve garantire il lavoro a tutti i cittadini anche a quelli che si sono macchiati in passato di reati senza distinzioni per avere il reintegro sociale.
Spesso ove possibile l’ordinamento giuridico prevede che il recupero sociale di quei cittadini che si sono macchiati di reati avvenga proprio tramite il lavoro, addirittura in alcuni casi a chi è detenuto viene concessa la possibilità di uscire dal carcere per andare a lavorare.
A conferma di quanto sopra ci sono in vigore diverse disposizioni di legge che prevedono incentivi per i datori di lavoro che assumono questi cittadini che abbiamo commesso reati.
Per questi motivi il sindacato Cobas ha ritenuto sempre illegittimi i licenziamenti effettuati da Gial Plast nelle Provincie di Lecce, Brindisi e Foggia e ne abbiamo chiesto sempre l’immediato reintegro lavorativo.
I lavoratori hanno sempre affermato “non siamo mafiosi ma vogliamo solo lavorare” ma abbiamo ricevuta una doppia condanna una dopo aver espiato pene decine di anni fa e la seconda non poter lavorare per sostenere le nostre famiglie.
Il Sindacato Cobas fin dal primo momento è stato affianco ai lavoratori colpiti dall’ingiusto licenziamento e continuerà ad esserlo finché l’ultimo lavoratore non sarà rientrato nel suo legittimo posto di lavoro.
Confederazione Cobas Puglia
Cobas Lavoro Privato
Roberto Aprile