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Unione Province Italiane (UPI): i vizi di incostituzionalità dl abolizione Province e le incongruenze dell’art. 23, commi 14-21, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, sulle Province

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a cura del Dr. Giuseppe Pietro Mancarella – Dottore Commercialista e Revisore Contabile

Testo: I vizi di incostituzionalità e le incongruenze dell’art. 23, commi 14-21, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, sulle Province, come approvati dalla Camera dei Deputati

Roma, 11 gennaio 2011

Le disposizioni dei commi 14-21 dell’articolo 23 del decreto legge 201/11 sulle Province hanno un impatto profondo sulla forma di stato prevista dalla Costituzione e non possono essere inserite surrettiziamente in un decreto legge che ha l’obiettivo di salvaguardare le finanze pubbliche. Come emerge chiaramente dalla relazione tecnica non ci sono né i presupposti di necessità e di urgenza, né si determinano immediati risparmi di spesa.

Al contrario, queste disposizioni ingenerano confusione, pongono nel disagio le amministrazioni territoriali che oggi dovrebbero essere in prima linea a cercare di dare risposte alla crisi, causano disservizi per i cittadini e i territori, portano ad un sensibile aumento della spesa pubblica.

Le Province sono infatti le istituzioni intorno alle quali è stata costruita 150 anni fa l’Italia unita, riconosciute tra le autonomie locali dall’articolo 5 della Costituzione e sono oggi tra le istituzioni costitutive della Repubblica, in base all’art. 114 della Costituzione.

Dalle norme approvate, la Provincia esce completamente trasformata e diventa un ente di secondo grado adibito a funzioni di coordinamento delle attività proprie dei Comuni. Non esercita più l’attività di gestione amministrativa, né propriamente funzioni amministrative ai sensi dell’art. 118, comma 1 e 2, della Costituzione. La Provincia non è più ente esponenziale della popolazione provinciale: sia il Consiglio che il Presidente sono emanazione degli organi elettivi dei Comuni.

Questa menomazione non è possibile attraverso un decreto legge. Il Governo è infatti intervenuto con decreto legge su una materia che è sottratta alla sua disponibilità. L’art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ha chiarito infatti che non possono essere oggetto di decretazione d’urgenza da parte del Governo le materie previste dall’articolo 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono incluse le norme di carattere costituzionale o elettorale.

La normativa nei suoi aspetti sistematici è già in vigore, salva la definizione delle modalità attuative con successiva legge. Essa non si applica evidentemente alle Province delle Regioni a statuto speciale, ma non ci sono dubbi che si tratta di normativa incostituzionale perché il testo degli artt. 5, 114 e 118 della Costituzione non consente al legislatore ordinario di modificare la natura degli enti costitutivi della Repubblica, quali enti del governo territoriale rappresentativi delle rispettive comunità e tra essi equiparati quanto a natura e struttura.

Le disposizioni approvate sono pertanto palesemente in contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali che disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ed, in particolare, gli articoli 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118 e 119 della Costituzione e sono, altresì, incongruenti con i principi generali della disciplina degli enti locali del nostro ordinamento.

  • Il comma 14viola l’art. 117, comma 2, lett. p) e l’art. 118, comma 2, della Costituzione, in quanto esclude che le Province abbiano funzioni fondamentali e funzioni proprie. Inoltre, affida alle Province funzioni di indirizzo e di coordinamento che possono essere giustificate solo da una sovra-ordinazione delle Province rispetto ai Comuni, non prevista dall’art. 114 della Costituzione e, a maggiori ragione, nel caso in cui le Province siano trasformate in enti di secondo grado.

La Costituzione individua le Province come un ente territoriale e autonomo (art. 114, comma 1 e 2) e fa rifermento espresso ad esse nell’art. 117, comma 2, lett. p, prevedendo che la legge statale possa disciplinare 3 oggetti: la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali. Allo stesso modo, l’art. 118, comma 2, statuisce che le Province siano titolari di funzioni proprie e di funzioni conferite dalla legge statale e da quella regionale.

Il sistema costituzionale dispone che le Province siano enti titolari di funzioni proprie, e cioè di quelle funzioni storicamente e in atto svolte dalle Province sulla base della legislazione esistente alla data dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001 e per le quali la garanzia discende direttamente dalla previsione costituzionale, senza che sia dato alla legge statale (e, tanto meno, a quella regionale) la possibilità di incidere su quei poteri.

Si tratta di una garanzia costituzionale assoluta che viene incisa dalla espressione “esclusivamente” contenuta nel comma 14.

Questa disposizione, infatti, non aggiunge – come pure sarebbe logico – l’indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni in capo alle Province, ma tende ad eliminare le garanzie dettate dalla Costituzione con il riconoscimento delle funzioni proprie.

Allo stesso tempo la disposizione non ottempera a quanto disciplinato dalla lett. p). La Costituzione vuole che il legislatore statale individui le funzioni fondamentali delle Province e questo compito è stato assolto, sia pure a titolo provvisorio, dall’art. 21, comma 4, della legge n. 42 del 2009. Si tratta di funzioni amministrative di carattere materiale che intervengono nell’ambito di materie della legislazione di particolare significato, come l’istruzione pubblica, i trasporti locali, la gestione del territorio, la tutela ambientale, lo sviluppo economico e il mercato del lavoro.

Con la disposizione del comma 14, invece, i contenuti delle funzioni amministrative provinciali sono stati eliminati del tutto e, in questo modo, il legislatore statale ha violato il compito attribuito a lui dalla Costituzione, con un comportamento censurabile anche dal punto di vista della ragionevolezza, per eccesso di potere (art. 3 Cost.).

  • Il comma 15 è apparentemente ammissibile, in quanto rientra nelle competenze del legislatore statale previste dall’art. 117, comma 2, lettera p), ma menoma la capacità di azione e di esecuzione delle Province ed è incongruente con quanto previsto dal testo unico degli enti locali, che può essere derogato solo con espresse modifiche delle sue disposizioni (art. 1, comma 4, D. lgs. 267/00).

La disposizione del comma 15 è palesemente in contrasto con l’assetto storico degli enti locali territoriali che hanno avuto nella Giunta l’organo collegiale di esecuzione delle deliberazioni consiliari; anche il TUEL affida alla Giunta funzioni di diretta esecuzione delle deliberazioni del Consiglio e dell’attività dell’ente, ovviamente in modo collaborato con il presidente della Provincia.

La disposizione è irragionevole e non lascia intendere attraverso quali meccanismi lo stesso Presidente possa operare.

Restano senza un preciso riferimento i compiti propri della giunta, come gli atti dell’art. 107 e l’adozione del regolamento degli uffici e servizi.

  • Il comma 16 viola l’art. 1, l’art. 5 e l’art. 114 della Costituzione poiché lede l’autonomia delle Province che, nel diritto costituzionale italiano, sono qualificate come enti esponenziali di una comunità territoriale che si organizza democraticamente, secondo l’art. 1, con organi elettivi di diretta emanazione del corpo elettorale. In base al principio fondamentale dell’art. 5 della Costituzione “la Repubblica, una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, il legislatore non può quindi abolirle, limitarle, diminuirne l’autonomia politica o incidere sul carattere democratico dell’ente, che rappresenta uno dei requisiti essenziali dell’ordinamento repubblicano. Il comma viola l’articolo 14 della legge 400/88 poiché interviene sulla materia costituzionale ed elettorale che per legge è sottratta alla decretazione d’urgenza. Il comma viola altresì l’art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo ed è in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto subordina il venir meno degli organi attuali ad una futura legge dello Stato di cui non vi è alcuna certezza.
  • Il comma 17 viola lo stesso principio del punto precedente per illegittimità costituzionale derivata.

I commi 16 e 17 configurano la Provincia come un ente di secondo grado. Prevedono che il consiglio sia estremamente limitato, 10 componenti per tutte le Province, grandi e piccole, che sia eletto dagli “organi elettivi dei Comuni” e che in seno a questo venga eletto il Presidente.

Nessuna di queste disposizioni è compatibile con il carattere originario di ente territoriale rivestito dalla Provincia nel nostro ordinamento.

Si tratta di un carattere che la Costituzione ha riconosciuto e, perciò, sul quale non ha il potere di incidere essa stessa.

Il legislatore ordinario, pertanto e a maggiore ragione, non può toccare il carattere democratico della provincia. La democrazia locale è una espressione, la più alta, dell’autonomia dell’ente che è stata riconosciuta a più riprese dalla costituzione.

Solo il fascismo nella storia d’Italia ha spezzato la continuità democratica delle autonomie locali.

Sono illegittime tutte le disposizioni dei due commi considerati.

Negli enti territoriali (Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni) il principio autonomista implica il principio democratico. Questo richiede che il popolo deve avere una rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete e che la rappresentanza abbia una consistenza tale da conseguire due risultati: in primo luogo, l’espressione del pluralismo politico, compatibilmente con la governabilità; in secondo luogo, la capacità di indirizzo e controllo da parte della rappresentanza medesima sull’ente.

  • Il comma 18 viola l’art. 118 in quanto esclude che i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione si possano riferire alle Province e prevede il passaggio di competenze alle Regioni. E’ inoltre in palese contrasto con l’art. 120 della Costituzione poiché l’intervento sostitutivo dello Stato nei confronti della Regione non rientra nelle fattispecie ivi previste. Occorre considerare, infine, che questa disposizione causa non risparmi ma aumenti della spesa pubblica, oltre a notevole confusione amministrativa ed istituzionale. Funzioni recentemente trasferite alle Province dallo Stato e dalle Regioni, con il processo di decentramento amministrativo e con sensibili riduzioni di costi e di personale, ora dovrebbero essere ritrasferite a chi le ha decentrate. Il rinvio degli assetti funzionali ad una legge futura di cui non vi è alcuna certezza pone nella confusione la programmazione delle attività di gestione delle attuali funzioni provinciali comma, violando altresì l’art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo ed è in contrasto con il principio di ragionevolezza.

La Costituzione prevede espressamente la Provincia come un livello in cui alle funzioni amministrative si possa assicurare un esercizio unitario secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione.

Il comma 18, invece, esclude in via di principio e in modo generale esattamente ciò che la Costituzione prevede. Di qui il contrasto con l’art. 118, comma 1, della Costituzione.

Per questa disposizione l’incostituzionalità è così manifesta che non ammette neppure una eventuale giustificazione dettata da ragioni di emergenza.

  • Il comma 19 viola gli stessi articoli per illegittimità costituzionale derivata. Inoltre viola sensibilmente l’autonomia organizzativa delle Province che, a norma dell’art. 114, sono enti costitutivi della Repubblica con autonomia organizzativa e statutaria, dotati di potere regolamentare (in base all’art. 117, comma 6) per organizzare lo svolgimento delle funzioni attribuite, nonché l’autonomia finanziaria prevista dall’art. 119 della Costituzione, che prevede il finanziamento di tutte le funzioni attribuite attraverso i meccanismi del federalismo fiscale, recentemente approvati anche dal legislatore ordinario.
  • Il comma 20, prevedendo il commissariamento delle Province che dovrebbero andare al voto nel 2012, incide non solo sull’autonomia delle Province garantita dalla Costituzione ma anche sui diritti dei cittadini ad eleggere democraticamente gli organi di governo delle Province. Questo comma viola gli articoli 1, 5 e 114 della Costituzione e allo stesso tempo i principi della Carta europea delle autonomie locali ratificata dal nostro Parlamento. Il comma viola l’art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo ed è in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto subordina il venir meno degli organi attuali ad una futura legge dello Stato di cui non vi è alcuna certezza e, soprattutto, prevede il commissariamento degli enti che dovrebbero andare al voto nel 2012, rinviando all’art. 141 del TUEL, ovvero ad una norma pensata per altre ipotesi di scioglimento dei consigli non applicabile in questo caso.
  • Il comma 20 bis viola l’autonomia riconosciuta alle Regioni a statuto speciale poiché impone ad esse di adeguarsi non ai principi della legislazione vigente ma a specifiche disposizioni di legge, peraltro manifestamente incostituzionali.
  • Il comma 21, allo stesso modo, viola l’art. 3 della Costituzione per eccesso di potere legislativo e è in contrasto con il principio di ragionevolezza, poiché la norma è generica, non specifica alcuna modalità e si limita a statuire l’invarianza della spesa.
  • Infine, dalla relazione tecnica allegata al decreto, emerge chiaramente che queste disposizioni non vengono computate ai fini della riduzione della spesa e non portano alcun risparmio nel 2012, poiché rinviano a provvedimenti ulteriori. Anzi, gli effetti sono sovrastimati a consuntivo in 65 milioni di euro, senza tener conto delle riduzioni al numero degli amministratori provinciali introdotte dalla legge 42/2010 e dalla legge 148/2011, mentre non viene fatto alcun cenno ai costi aggiuntivi che sicuramente deriveranno dal trasferimento ad altri enti delle funzioni provinciali, come già è stato evidenziato in precedenza dagli uffici studi parlamentari. E’ evidente, pertanto, che non ci sono i requisiti di necessità e di urgenza che legittimano l’inserimento di queste disposizioni nel decreto legge.

Sulla base delle considerazioni sovra espresse l’Unione delle Province d’Italia richiede alle Province interessate e alle Regioni di attivare tutte le iniziative per impugnare nelle sedi competenti le disposizioni dell’art. 23, commi 14-21, del decreto legge 201/11, come modificato dalla legge di conversione, sollevando la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale e richiedendo la sospensione delle norme impugnate, secondo quanto previsto dal’art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, poiché dalla loro esecuzione può derivare un “irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico e all’ordinamento giuridico della Repubblica” e un “ pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini”.